IL PRIMO ATLETA GAY ALLE OLIMPIADI. I RETAGGI CULTURALI NELLO SPORT

di Pietro Colombo

Il primo fu Otto Peltzer, corridore mezzofondista tedesco nato l’8 marzo del 1900. Atleta gay, dichiarato, fu impressionante leggere, in un ritaglio del Corriere della Sera del 26 giugno 1935: "Il corridore tedesco Peltzer condannato a 18 mesi di prigione". Fu il primissimo atleta gay a partecipare ai Giochi Olimpici.

 

Dopo la dichiarazione dei 38 atleti gay che parteciperanno ai Giochi di Rio 2016, adesso saliti a 41, si deve considerare il retaggio culturale e la storicità che questi atleti ed atlete portano con se, il passaggio della fiaccola, soprattutto della comunità LGBT. Dal 1928, l’anno in cui Otto partecipò alle Olimpiadi, più di 250 atlet* si sono misurati nei grandi Giochi olimpici, portando con sé un’eredità culturale combattendo il continuo pregiudizio e mettendosi in gioco personalmente a favore della visibilità della comunità LGBT. La storia degli atleti LGBT e delle OIympiadi risale a più di un secolo fa. Vi è nota la storia del ragazzo gay, abbandonato dalla sua squadra olimpica perché era troppo “butch”? È successo al ginnasta 28enne danese Niels Bukh. Era considerato troppo "tarchiato" per essere in sintonia con la sua squadra in cui la fisicità sottile era dominante e non fu selezionato. La sessualità ed affettività di Bukh era nota alla sua famiglia e se avesse gareggiato a Londra nel 1908 sarebbe stato il primo atleta olimpionico dichiaratamente gay. Imperterrito, si rivolse alla squadra di ginnastica di Stoccolma vincendo l'oro della Danimarca a Stoccolma 1912. Purtroppo, Hitler era uno dei suoi più grandi fan e lo usa per aiutarlo con la propaganda delle Olimpiadi di Berlino 1936.

Ad Amsterdam nel 1928 Otto Peltzer fece il suo debutto olimpico come primo atleta olimpionico gay. Detenne il record mondiale per gli 800 e 1500 metri, fu il capitano della squadra e il favorito per vincere una medaglia d'oro. Purtroppo, un infortunio ha impedito il suo successo ad Amsterdam. Alle 1932 Olimpiadi di Los Angeles è stata la scarpe da corsa sbagliate che lo ha deluso. Peltzer è stato arrestato per la sua omosessualità nel 1934 e successivamente imprigionato, rendendo impossibile per lui allenarsi per le Olimpiadi di Berlino. Alla fine è finito in un campo di concentramento nazista che è stato liberato dalle forze americane maggio 1945.

La sessualità di Peltzer non era nota ad Amsterdam 1928, ma la collega tedesca Renée Sintenis viveva apertamente e con serenità il suo essere lesbica. Ad Amsterdam lei ha vinto una medaglia di bronzo, diventando la prima vincitore della medaglia olimpica lesbica. Ma nello sport lei non venne mai considerata un’atleta. Vinse la sua medaglia nella scultura, poiché l’arte faceva parte del programma competitivo olimpico per diversi decenni prima del 1952. I giochi di Berlino hanno visto anche la prima grande polemica genere. Un velocista relativamente sconosciuta, l'americana di Helen Stephens, soprannominata "Fulton Flash", ha battuto la campionessa olimpica in carica per i 100 metri femminili. La polacca Stanislawa Walasiewicz, campionessa nel 1932, era basita. I team manager polacchi accusarono la Stephens di essere un uomo accusa rivelatasi falsa. 

Ma chi è stato il primo atleta a competere come atleta olimpico apertamente LGBT? Ci fu un fantino degli Stati Uniti, Robert Dover che fece coming out durante la sua seconda apparizione olimpica a Seoul, nel 1988. Dover attualmente detiene il record per le presenze ai giochi olimpici: sei giochi consecuti dal 1984. Negli anni 1980 e 1990 il timore della reazione omofobica che ha seguito l'emergere di HIV ha affetto molti atleti LGBT. Questa omofobia è ancora presente in molti sport ed è uno dei motivi per cui un minor numero di atleti di sesso maschile hanno fatto coming out rispetto alle atlete apertamente lesbiche o bisessuali.

Il numero di note atlete LGBT olimpioniche che hanno gareggiato nelle competizioni femminili è di 153 rispetto a 93 negli uomini. Tutt’oggi però possiamo osservare sempre più atlet* che parlano pubblicamente della propria omoaffettività.  Un segnale importante per rendere lo sport un luogo di incontro e condivisione in cui tutti si sentono i benvenuti. 

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